Quando il design ecosostenibile è chic 

Quando si parla di design sembra ancora impossibile che questo concetto possa essere accoppiato a quello di ecosostenibilità, eppure oggi sempre più architetti e studi di progettazione elaborano il modo giusto di non danneggiare l’ambiente attraverso l’uso di risorse, materiali e processi a basso impatto ambientale.

Cos’è il design ecosostenibile

Oggi progettare seguendo regole e indicazioni che considerino anche le richieste dell’ecosistema, significa fare design ecosostenibile. L’impatto che la produzione di un oggetto avrà sull’ambiente, può essere calcolato a priori ed è uno dei requisiti principali del design ecosostenibile. I prodotti oggetto di questo tipo di design, devono rappresentare la migliore sintesi possibile tra criteri ambientali e criteri tecnico-economici, soprattutto in base alla scelta dei materiali usati, delle strutture e delle forme. Dall’ideazione di semplici oggetti di uso quotidiano fino alla progettazione di intere aree urbane, il design ecosostenibile può trovare diverse applicazioni, tutte caratterizzate però dagli stessi principi base, ovvero l’uso di materie non tossiche, riciclate o riciclabili, il risparmio energetico, la qualità e la durabilità dei prodotti e il riciclo sia del materiale usato che della funzione stessa dell’oggetto.

Lo scopo infatti del design ecosostenibile è proprio quello di ridurre al minimo l’impatto ambientale dell’intero ciclo di produzione del prodotto attraverso un’ottimizzazione dell’attività di progettazione dello stesso. Rinnovare prodotti già esistenti o idearne di nuovi tenendo conto degli aspetti ambientali, consente di confrontare processi, materiali e prodotti usati per poter scegliere quelli che risultano più eco-compatibili, magari anche riuscendo in questo modo a creare oggetti innovativi. In genere per arrivare a migliorare l’impatto ambientale di un qualsiasi prodotto, si cerca di intervenire proprio durante le fasi del suo ciclo di vita, ovvero la scelta dei materiali, la progettazione, la distribuzione, il packaging, l’uso e la sua fine naturale.

Quando l’ecosostenibilità può essere chic

Design da sempre è sinonimo di sperimentazione, inventiva e creatività. Il designer oggi deve saper reinventare e arricchire lo stile di vita nonché la mentalità delle persone a cui la sua arte è rivolta, deve quindi anche saper ideare oggetti che sia possibile adattare e utilizzare di nuovo. Qui entra in gioco il fattore dell’ecosostenibilità, ovvero riuscire a creare oggetti nuovi usando materiali da recupero, riciclabili e smaltibili che rispondano anche a delle esigenze estetiche e di stile. Nasce così un nuovo concetto di design e nuovi tipologie di mobili nonché di complementi d’arredo con cui abbellire e arredare casa riducendo al minimo l’impatto ambientale.

Per arredare il proprio soggiorno con mobili ecosostenibili, si può optare per tavoli ricavati da bobine di legno, sedute rivestite con tessuti vecchi, o ancora prodotti realizzati in cartone riciclato, materiale molto alla moda e che permette di ricreare i più comuni oggetti d’uso quotidiano quali sedie, tavolini, chaise longue, librerie o scaffali. È possibile anche trovare lampade di design realizzate con materiali di scarto da sistemare per illuminare scrivanie, tavoli e comodini, esempi di come il design ecosostenibile sia in realtà di gran moda e possa conferire a un ambiente uno stile diverso e più d’effetto.

Cosa vedere a Parigi

Da sempre eletta a città degli innamorati e ideale per una fuga romantica, Parigi è la capitale europea in cui il tempo sembra essersi fermato, ma per visitarla una giornata non basta.

Parigi è sempre Parigi

Accanto alla modernità e agli splendori dell’odierna Parigi, il turista che si trova per la prima volta a passeggiare lungo gli Champs Elysées non può fare a meno di respirare un’aria “antica” e carica della storia, delle sensazioni e delle atmosfere che tutta la capitale francese sembra catturare in ogni suo più piccolo angolo. Parigi è una città dalle infinite anime e dagli infiniti intrattenimenti: è seducente e romantica per antonomasia, è artistica e intellettuale per aver dato i natali ai più celebri personaggi del mondo della cultura, ma è anche è modaiola e stravagante.

La Tour Eiffel è il simbolo per eccellenza della città: si alza incontrastata sugli Champs de Mars dal 1889, anno in cui fu eretta su progetto dell’ingegnere che le attribuì il proprio nome. Salendo con l’ascensore fino in sommità, è possibile avere letteralmente ai propri piedi tutta Parigi e godere di un panorama tra i più sensazionali del mondo. Un altro noto simbolo della città è la famosa cattedrale di Notre Dame, resa tale soprattutto dal racconto scritto da Victor Hugo.

Dalla Tour Eiffel a Notre Dame

Notre Dame de Paris domina la Senna e l’Ile de la Cité e a lei sono legati i nomi dei più importanti personaggi che hanno fatto la storia di Francia, da Carlo Magno a Napoleone al generale De Gaulle. L’imponente struttura dallo stile gotico è stata protagonista nel corso dei secoli dei più famosi avvenimenti storici, dalle Crociate alla Rivoluzione Francese, e ogni volta è stata vittima di saccheggi, tanto che molti tesori ivi custoditi sono andati irrimediabilmente distrutti e dispersi, nonostante ciò ancora oggi insieme alla Tour e al Louvre, Notre Dame è uno dei monumenti più visitati dai turisti.

Impossibile non ammirare la facciata occidentale con la galleria dei re, il rosone e le due torri che primeggiano nell’aere, si rimane estasiati dall’imponenza e dal mistero delle figure che si affacciano da ogni angolo della cattedrale: chimere e gargouilles sono i veri guardiani di Notre Dame, che osservano dall’alto chiunque osi metter piede all’interno. Dentro la cattedrale, di particolare rilievo è la cripta del sagrato che ospita il tesoro d’arte sacra, inclusa la Sacra Corona di Spine e altri cimeli che sembrano derivare dalla Croce di Gesù.

Che fine hanno fatto i ghiacciai in Italia?

Dai dati raccolti dal satellite sembra proprio che i ghiacciai italiani non se la passino molto bene e anzi sembra proprio che si siano ridotti e frammentati negli ultimi decenni e che addirittura il 30% di essi si sia sciolto a causa proprio dei cambiamenti ambientali che la Terra sta affrontando. Cerchiamo di capire meglio cosa sta accadendo.

Scioglimento dei ghiacciai: cosa si sa della situazione italiana

Lo scioglimento dei ghiacciai non è una novità, ne soffre tutto il Pianeta ed è inevitabile che se il Pianeta sta male i sintomi della malattia si percepiscano un po’ ovunque non solo in territori a noi lontani: ecco perché non bisogna stupirsi se anche il nostro paese non è escluso da questo fenomeno. I ghiacciai si stanno sciogliendo anche in Italia e in modo drammatico: a dirlo sono gli esperti di glaciologia alpina. Secondo questi esperti a causa dell’ultima frammentazione, i ghiacciai in Italia si sono ridotti del 30% ovvero una superficie che corrisponde più o meno a quella del lago di Como. La frammentazione non solo ha provocato una riduzione notevole dei ghiacciai dovuta appunto allo staccamento e sgretolamento della massa, ma la conseguenza è stata anche un aumento del numero di piccoli corpi ghiacciati.

Quindi, a oggi secondo l’aggiornamento del Nuovo Catasto dei Ghiacciai Italiani si conterebbero poco più di 900 corpi per un’estensione totale pari a un’area di 369kmq. In pratica, volendo avere un’idea più concreta dell’area occupata da questi piccoli ghiacciai basti pensare al lago di Garda: i piccoli corpi ghiacciati infatti, tutti insieme darebbero vita a una massa d’acqua uguale circa a quella del nostro lago di Garda. Questi dati sono praticamente certi dato che sono frutto delle rilevazioni effettuate tramite le fotografie aeree e satellitari avvenute durante un decennio: i ricercatori guidati dall’equipe dell’Università Statale di Milano e supportati dal Comitato Glaciologico Italiano hanno potuto rendersi conto dello stato di salute dei ghiacciai che si trovano sulle nostre Alpi. L’aggiornamento del Catasto quindi, è stato reso possibile tramite queste informazioni satellitari che si sono rivelate indispensabili per lo studio della situazione italiana dello scioglimento dei ghiacciai, e non solo: queste informazioni inserite nel Catasto rappresenteranno il punto di riferimento principali per riuscire a capire eventuali riflessi e soprattutto quali siano le conseguenze dei cambiamenti climatici in essere che stanno praticamente ridisegnando la geografia ambientale del territorio mondiale.

Come ridurre il disgelo?

Quali sono le zone interessante dallo scioglimento dei ghiacciai in Italia è presto detto: si tratta di sole sei regione in cui attualmente si possono contare questi corpi ghiacciati e tra queste solo l’Abruzzo è l’unica regione non alpina. La maggior parte di questi corpi glaciali è di piccole dimensioni, ma per poter capire meglio questa trasformazione che ha visto protagonisti i ghiacciai, basti pensare che l’ultimo censimento del Catasto dei Ghiacciai Italiani avvenuto nel 1962 ne contava 835.

Ciò significa praticamente che si sono persi ben 157kmq glaciali e che le diverse unità ghiacciate ne sono uscite talmente frammentate da contare l’area che non supera gli 0.4kmq eccezion fatta per tre ghiacciai la cui area supera invece i 10 kmq e sarebbero i Forni in Lombardia, il Miage in Valle d’Aosta e l’Adamello-Mandrone che si trova tra Lombardia e Trentino e che attualmente è il ghiacciaio più grande d’Italia. Da quanto si evince quindi, le regioni più colpite dallo scioglimento dei ghiacciai sono il Friuli, il Trentino Alto Adige e il Piemonte. Per fermare questo disgelo la soluzione da applicare è solo una, ovvero limitare e ridurre l’uso dei combustibili fossili che potrebbe ridurre il problema del surriscaldamento globale e limitare o danni ai ghiacciai.

Come combattere le smagliature

Di sicuro antiestetico e odiato da tutte le donne del mondo, le smagliature non sono solo brutte perché fanno apparire la pelle più vecchia e quindi rendono una donna, anche apparentemente in forma, poco tonica, ma sono i più difficili tra gli inestetismi da curare tanto che molte di noi non possono far altri che conviverci pacificamente. Oggi però qualcosa si sta muovendo anche per togliere queste odiose smagliature dalla nostra pelle e vi sveliamo come, con semplici rimedi, è possibile iniziare a fare qualcosa.

Perché fare prevenzione è importante

D’accordo che non ci accorgiamo di loro, perché riescono a eludere anche la più stretta sorveglianza che in alcune fasi della vita di una donna non è sempre rigida, per esempio durante la gravidanza si pensa a stare bene per il proprio neonato e passano in secondo piano molte cose, come appunto la cura delle smagliature. Proprio perché le smagliature non passano anche se non le abbiamo sott’occhio ogni giorno, non significa che non dobbiamo cercare qualche rimedio, qualsiasi a questo punto, per lottare contro di loro, ma soprattutto per stare meglio con noi stesse.

L’antica lotta alle smagliature avveniva anche nel passato, in cui le donne romane o egizie si curano con erbe e medicamenti naturali, quindi teoricamente oggi che disponiamo di armi ben più avanzate dovremmo risolvere il problema in quattro e quattr’otto, e invece accade che la prevenzione all’insorgenza delle smagliature avviene troppo tardi, anche se oggi già durante l’adolescenza è possibile soffrirne, eppure si è convinte che col tempo la pelle giovane ed elastica si rimetterà al suo posto quasi per magia, ma non è così. Le striature bianche restano se non ci si dà da fare e bisogna, prima di tutto, iniziare dall’adottare un corretto stile di vita, che significa mangiare bene e muoversi facendo sport ovviamente non a livello agonistico se non è quella la propria aspirazione.

Vitamine e oli essenziali per la pelle

Una volta, però, che si rende conto che le striature ci sono, anche se piccole, bisogna per forza ricorrere ad altri ‘stratagemmi’ che possono arrivare dalla natura: infatti, oggi anche le estetiste raccomandano di aver cure delle smagliature massaggiando le parti coinvolte e usando prodotti di origine vegetale, un po’ come usavano le donne di un tempo. Se l’hanno risolto loro il problema, dovremmo pur riuscire a risolverlo anche noi. Le estetiste e gli esperti raccomandano i massaggi perché tramite la loro azione, se effettuato il massaggio come si deve, è possibile iniziare a riattivare l’efficienza e la funzionalità del microcircolo.

Le sostanze naturali, infatti, rispetto a quelle creme famose di cui ci parla la pubblicità, riescono a penetrare nella pelle molto più velocemente e facilmente proprio perché al loro interno contengono delle sostanze che l’organismo umano assimila subito, tipo caffeina o centella asiatica. Lo scopo principale di queste sostanze è di idratare e rendere più elastica la pelle piena di striature bianche dato che si va a stimolare l’azione dei fibroblasti, che nella pelle sono dediti alla produzione di collagene e di fibre elastiche. Cercando di massaggiare in modo da riattivare o stimolare il microcircolo, troppo trascurato a causa dello stress e dell’inquinamento alimentare, si aiuterebbe la rigenerazione dei tessuti. I trattamenti naturali, quindi, possono forse ai più sembrare inefficaci perché i risultati arrivano un po’ a rilento rispetto alle creme estetiche, però almeno sono a base di oli vegetali, estratti e vitamine, pensati proprio per permette alla pelle di essere stimolata nel profondo del derma così da aiutare una sorta di riorganizzazione e riparazione delle fibre del derma.

Europa digitale

Per adeguarsi a quello che sarà il mercato del lavoro nel 2020 gli studenti europei devono diventare più digital e smart e ad aiutarli n questa impresa sarà proprio l’Unione Europa con il suo nuovissimo “Opening up Education”. Vediamo meglio di che si tratta.

Europa digitale: sogno o realtà?

Il nuovo “Opening up Education”, ovvero il piano europeo per rendere le scuole e le università di tutta l’Unione europea più digitali prevede di educare gli studenti europei e di inculcare in loro delle competenze digitali che gli stessi potranno più velocemente sviluppare per dare una risposta concreta al mercato del lavoro in evoluzione entro il 2020. Purtroppo non solo in Italia ma anche in altre nazioni europee è particolarmente percepito il gap digitale tra docenti e discenti che dovrebbero aprire la mente al digitale per migliorare il proprio piano di insegnamento.

Il Piano lanciato dalla UE ai fini della promozione dello sviluppo delle competenze digitale nelle scuole e nelle università europee è stato elaborato alla luce dei dati appresi sul mercato del lavoro dei prossimi anni in cui sarà richiesto per essere assunti la capacità di muoversi nell’era digitale e la padronanza dei maggiori dispositivi digitali. Nel 2020 quindi il 90% dei posti di lavoro richiederanno tale requisito imprescindibile eppure oggi nel 2015 moltissimi studenti delle scuole e anche delle università europee dimostra di non avere questa elevata padronanza del mezzo digitale.

Quanto siamo indietro?

Naturalmente prima di elaborare tale Piano, la UE ha effettuato un’indagine appena lo scorso aprile per capire effettivamente e concretamente lo stato della digitalizzazione in tutti i paesi europei e si è evinto che oltre il 60% dei bambini che vanno a scuola frequenta istituti senza banda larga, senza una connessione LAN, sito web o posta elettronica, mentre è incredibile scoprire che il 20% degli studenti delle scuole secondarie non ha mai usato un computer in classe. Nell’era del digitale tra il 50% e l’80% di ragazzi non è mai venuto a contatto con un software o con un libro digitale nelle proprie scuole, e questo fa molto pensare al tipo di programmi scolastici che vengono oggi svolti all’interno degli istituti scolastici di tutta Europa.

A fronte delle dichiarazioni dei discenti, quelle dei docenti non sono più incoraggianti dato che circa il 70% ammette si sentirsi incompetente sul digitale e per niente formato al riguardo, eppure da qui a dieci anni le università dovranno essere pronte a digitalizzarsi e ad adottare tecnologie adatte per sostenere corsi universitari a distanza che siano aperti e di massa, ovvero i meglio noti MOOC. Visti i risultati attuali, un piano ad hoc per il digitale in Europa era quindi necessario: questo “Opening up Education” si pone come obiettivo primario quello di promuovere l’innovazione all’interno degli istituiti scolastici europei così da creare diverse occasioni e opportunità sia per docenti che per discenti di potersi formare a tal riguardo, inoltre il piano mira a favorire le cosiddette “open educational resources” ovvero le risorse educative e, come terzo scopo, cercherà di migliorare le infrastrutture TIC e la connettività nelle scuole.

Come l’economia domestica può diventare più ‘green’

Oggi prestando più attenzione alle piccole grandi azioni che si compiono ogni giorno nella propria abitazione, è possibile riuscire a essere più green ed ecosostenibili cambiando solo alcuni aspetti delle proprie abitudini domestiche. Vediamo come.

Quanto siamo pronti a tutelare l’ambiente?

Rispetto agli anni scorsi oggi si presta molta più attenzione alle tematiche green perché sono diventati più numerosi gli allarmi legati all’ambiente nonché gli stessi disastri ambientali di cui l’uomo è vittima e allo stesso tempo carnefice: se tutti prestassero maggiore attenzione alle proprie abitudini quotidiane, l’ambiente potrebbe essere maggiormente tutelato. Eppure la coscienza ‘green’ ancora non è ben radicata nell’uomo che fa fatica a esprimerla sia per ignoranza che per pigrizia. L’utilizzo delle risorse rinnovabili, per esempio, potrebbe rappresentare un primo modo di voler bene al pianeta e basta semplicemente confrontare le tariffe di luce e gas per scegliere l’operatore che fornisce energie utilizzando risorse rinnovabili.

Perché una proposta di economia sostenibile sia avanzata dai grandi della Terra, ogni persona potrebbe iniziare nel suo piccolo a rivedere le proprie abitudini domestiche per applicarvi dei cambiamenti utili alla tutela del pianeta. Come cambiare queste abitudini? È presto detto: partiamo dall’ambiente domestico più frequentato da tutti i membri di una famiglia, la cucina. Al di là degli sprechi di cibo che si dovrebbe cercare di evitare il più possibile, magari rielaborando con gli avanzi del giorno prima piatti anche comuni, per salvaguardare il pianeta bisognerebbe usare poco gli elettrodomestici, o meglio nelle giuste fasce orarie. Sì perché esistono da tempo degli orari più convenienti in cui è possibile usare lavatrici, forni, lavastoviglie e dipende dal piano tariffario posseduto. Inoltre, si potrebbe prestare attenzione a usare la lavatrice solo nel caso in cui il carico sia effettivamente pieno e non quando è mezza vuota, così anche lo stesso frigorifero si dovrebbe gestire con parsimonia, per esempio cercando di aprire lo sportello il meno possibile perché così si permette alla temperatura interna di restare costante.

Quanto è facile tutelare il pianeta?

Altro luogo molto ‘trafficato’ di una casa è il bagno: qui il primo spreco a cui bisogna stare attenti è quello dell’acqua. Quante volte, prima di fare la doccia, si è aperto il rubinetto e si è lasciata scorrere l’acqua anche dopo molto tempo che è diventata della giusta temperatura, o anche mentre ci si lava i denti si tende a far scorrere l’acqua finché non si è finito. Lo spreco di acqua è sicuramente l’elemento su cui bisogna ‘lavorare’ maggiormente: poiché si è abituati ad avere sempre disponibile acqua calda e fredda in ogni momento, non si riflette sul fatto che le risorse idriche sono le prime destinate a esaurirsi perché prima o poi non basteranno a tutti gli abitanti del pianeta, per cui meglio tutelare gli sprechi da subito facendo la propria parte. Per riuscire davvero nella lotta agli sprechi domestici, è utile anche far ricorso al termostato: in autunno e inverno, quando le temperature sono più rigide, è necessario accendere il riscaldamento ma è possibile anche impostarne la temperatura e l’orario di accensione proprio grazie al termostato, in modo che l’ambiente possa diventare accogliente e caldo quando necessario senza ulteriori sprechi di energia e anche di denaro, dato che il riscaldamento costa.

Prima di ricorrere al timer però, bisognerebbe aver cura di controllare anche lo stato di porte e infissi soprattutto se gli spifferi perdurano: ciò significa che i sistemi di blocco non funzionano bene e bisogna ricorrere ai ripari prima di accendere il riscaldamento che altrimenti verrà solo sprecato. Un’altra utile accortezza è quella di scostare da termosifoni e altre fonti di calore eventuali tende che li coprono perché potrebbero fungere da barriere che impediscono al calore di diffondersi nell’ambiente. In pratica, per iniziare a fare la propria parte nella tutela ambientale, non è necessario rivoluzionare le proprie abitudini quotidiane ma soltanto avere cura di compierle nel modo più giusto e corretto.

Come creare con il decoupage

Definita come “l’arte del ritaglio”, il decoupage è un’arte usata in qualunque campo e su qualsiasi superficie e materiale da cui è possibile dar vita a dei veri e propri oggetti nuovi e originali.

Come si taglia e incolla con il decoupage

Il termine découper in francese significa tagliare e la parola decoupage indica proprio la tecnica del ritaglio che era particolarmente di moda nella Francia del XVII secolo. In Italia il decoupage arriva solo nel XVIII secolo e viene usata dai mobilieri veneziani per realizzare mobili laccati con stampe ritagliate e dipinte. Il fervore che le più importanti corti europee dimostrarono per gli oggetti laccati contribuì allo sviluppo dell’“arte povera veneziana”, che si arricchì ulteriormente sviluppando stili diversi. Abbandonata dopo l’età vittoriana, il decoupage torna a farsi sentire nel ‘900 e da allora rimane un’arte “alla moda” con cui si può decorare qualsiasi oggetto con estrema facilità e in modo veloce e pratico. Tutti possono praticare il decoupage, che fondamentalmente si basa sul ritaglio di immagini, illustrazioni o decori per riusarle su oggetti e mobili che si vuole far tornare a nuova vita. Negli ultimi anni, il decoupage è stato riscoperto e usato anche all’interno o come protagonista di opere d’arte dando vita a una sovrapposizione che ha permesso all’antica arte povera veneziana di non morire e di svilupparsi ulteriormente.

Ma il decoupage si può definire un’arte povera o un’arte popolare? Adatta a chi un artista non si sente, ma che ha tanta creatività cui dar sfogo, il decoupage non ha bisogno di abilità particolari dato che basta un supporto qualsiasi che dia la possibilità di creare. Di solito ai principianti si consiglia di iniziare da cose semplici come ridecorare un oggetto di legno o anche oggetti di plastica o vetro, in realtà dipende da cosa il principiante sa fare e cosa vuole creare. Una volta deciso su cosa eseguire un decoupage, il passo successivo prevede di scegliere il tipo di immagine o decorazione da incollare sul supporto.

La moda del decoupage che non muore

Dalle scatole in legno, ai vasi, alle tele di cotone, ai portafoto, fino ai più svariati oggetti, il decoupage permette di creare le decorazioni più originali prendendo ispirazione dall’apposita carta ricca di disegni e illustrazioni, oppure ritagliando da riviste, giornali o anche tovaglioli di carta le proprie immagini preferite. Per decorare bene il supporto scelto, le immagini devono risultare ben ritagliate e scontornate prima di essere incollate sulla base prescelta.

Quindi, per rifinire il lavoro, sarà molto utile la vernice, opaca o lucida a seconda dell’effetto che si vuole conferire all’oggetto: per esempio, se si decora un supporto in legno, la vernice lucida darà un tocco di brillantezza ed eleganza, mentre se il materiale non è legno, una vernice opaca sarà più indicata. In realtà ciò che serve davvero per ottenere un buon lavoro di decoupage è tanta pazienza e buona volontà oltre a creatività e fantasia, che risultano essere da semprei le “armi” più efficaci per creare qualcosa di originale e diverso.

Quanto siamo lenti di connessione in Italia?

Mentre tutti gli altri paesi europei sembrano aver superato il gap quanto a connessioni, e-commerce e competenze nell’uso del digitale, l’Italia sembra ancorata a un passato che non diventerà mai futuro. Vediamo cosa prescrive l’Agenda Digitale europea quanto a velocità di sviluppo del digitale anche nel nostro paese.

Europa vs Italia: ecco chi è sul podio

Il rapporto dell’Agenda Digitale UE ha già sottolineato quali e quanti sono i punti in cui l’Italia ancora non ha colmato il gap rispetto alla media degli altri paesi europei quanto a connessioni lente e competenze su internet, per non parlare dell’andamento del commercio elettrico, immediata conseguenza del deficit digitale. Il rapporto annuale fa riferimento al 2013 ovviamente e lo scopo è quello di fare il quadro della situazione dell’Unione Europea relativamente al 101 obiettivi che devono essere raggiunti entro il 2015 e per ora, nei 28 paesi dell’Unione ben 95 di questi obiettivi sono stati raggiunti pienamente quindi dal punto di vista della Comunità bisogna andarne soddisfatti.

Soddisfazione che viene un po’ meno quando si tratta di guardare al singolo paese europeo: per dirla tutto l’Italia è purtroppo molto indietro rispetto alla media europea, ma andiamo con ordine. Complessivamente i risultati dell’Agenda Digitale in tutti i paesi europei non possono dirsi negativi, anzi dal 2010 si è registrato un costante aumento di cittadini europei che hanno accesso alla rete: rispetto al 2010, in cui il 60% degli europei usava internet, nel 2013 la percentuale è aumentata al 72%. Questo risultato dimostra l’impegno delle nazioni diventate europee da poco tempo nel volersi allineare al resto dell’Unione e di voler rispettare i termini dettati dall’Agenda Digitale: nello specifico, Grecia, Romania, Repubblica Ceca, Croazia e Irlanda si sono date da fare per colmare il gap quanto a rete internet accessibile. Inutile sottolineare che come in ogni classe, esistono anche i migliori ovvero quei paesi in cui di per sé la percentuale relativa ai cittadini che usano internet è superiore al 90% e sono Paesi Bassi, Lussemburgo, Svezia e Danimarca.

Come conseguenza di questa virtuosità, bisogna sottolineare come siano aumentati i cittadini europei che effettuano acquisti online tanto che la percentuale si avvicina moltissimo all’obiettivo dettato dall’Agenda per il 2015. Un altro dato positivo riguarda l’accesso alla banda larga che oggi è a disposizione del 100% dei cittadini dell’Unione: in questa percentuale bisogna distinguere però chi viaggia alla velocità di 30 Mbps e chi resta ancora un po’ lento. Allo stato di ciò, gli obiettivi che devono essere raggiunti per fine 2015 riguardano l’accesso a internet nelle zone più rurali e il tema più delicato dell’eGovernment ovvero la possibilità di usufruire sul web dei servizi della Pubblica Amministrazione che è fermo in molti paesi europei.

E l’Italia?

A che punto si trova l’Italia rispetto agli altri colleghi europei? Ci sono alcuni punti su cui il nostro paese riesce a stare al passo con l’Europa, mentre altri in cui purtroppo è molto indietro. Secondo il rapporto del 2013, il 99% delle abitazioni italiane sono raggiunte dalla banda larga e questo dato rispetto al 2012 è cresciuto tanto da registrare una percentuale più alta di quella dell’UE. Di questo 99% bisogna considerare che il 68% sfrutta la banda larga, ma solo il 21% raggiunge i 30 Mbps di velocità e nessuno raggiunge i 100 Mbps. Per quanto riguarda il mobile la copertura 4G è davvero scarsa dato che è disponibile solo per il 39% della popolazione.

Quel che forse p più preoccupante è il dato sull’accesso settimanale e giornaliero degli italiani sul web: in media si accede a internet almeno una volta a settimana, e ammonta solo al 54% la percentuale di italiani online giornaliera, e indietro stiamo anche sulle competenze dato che ben il 60% degli italiani dimostra di avere competenze scarse o addirittura nulle. Per quanto concerne l’e-commerce invece siamo ben sotto la media europea con il nostro 20% di italiani che acquistano sul web e ciò anche a discapito delle aziende che online praticamente non vendono niente. Il dato più allarmante infine è dato dalla PA: solo il 21% degli italiani ha usufruito dei pochi servizi online messi a disposizione.

Perché visitare il Castello di Miramare

Nato per volontà e sotto il dominio degli Asburgo, il Castello di Miramare rappresenta tutt’oggi una residenza dal grande valore artistico-culturale ed è il simbolo di un passato storico profondamente ancorato al territorio triestino e difficile da dimenticare.

Come nasce questa residenza asburgica

Il castello di Miramare fu eretto sul promontorio di Grignano, in terra triestina, per volere dell’arciduca Massimiliano d’Asburgo nel 1855: innamoratosi infatti dello splendore di un paesaggio boschivo che si sposava perfettamente con il mare, l’arciduca Massimiliano, fratello dell’imperatore Francesco Giuseppe, decise di costruire lì la residenza che lo avrebbe ospitato insieme alla sua sposa, Carlotta del Belgio. Circondato dall’ampia distesa di verde del parco, il magnifico castello dalle mura bianche divenne subito la dimora preferita della coppia reale, unico luogo in cui poter trovare pace dalle insidie e dalle fatiche della vita di corte.

Progettato dall’ingegnere austriaco Carl Junker, il castello si caratterizza per lo stile eclettico, specchio della moda architettonica del tempo: tratti gotici si mischiano a elementi ora medievali ora rinascimentali dando così vita a una perfetta e sorprendente fusione di stili, come era uso all’interno delle dimore nobiliari dell’epoca. L’arciduca seppe compiere una perfetta combinazione di arte e natura proprio al suo interno, tanto da riuscire a creare un ambiente unico nel suo genere, arricchito dalla presenza del mare che fungeva da elemento ispiratore per l’arredamento del castello.

Cosa visitare del Castello

Gli arredi vengono realizzati dagli artigiani Franz e Julius Hofmann: gli appartamenti privati della coppia reale acquistano un tono intimo e familiare, mentre gli ambienti di rappresentanza si caratterizzano per un arredamento ricco di simboli asburgici, come le tappezzerie rosse ornate dal simbolo imperiale o i saloni decorati da stemmi reali. Per espressa volontà dell’arciduca, ogni finestra della residenza è affacciata sul mare per evocare l’illusione di essere a bordo di una nave. La stessa camera da letto dell’arciduca ricreava perfettamente l’ambiente di bordo, così come lui lo conosceva. Miramare funse da residenza reale fino al 1864, anno in cui Massimiliano fu incoronato re e salpò con la moglie alla volta del Brasile.

Dopo la morte dell’arciduca, Carlotta del Belgio tornò al Castello di Miramare in realtà per esservi rinchiusa, dopo aver dato gravi segni di squilibrio mentale. Negli anni ’30 del Novecento, il castello diviene residenza sabauda: il duca Amedeo di Savoia-Aosta infatti vi dimorerà fino al 1937. Naturalmente tutto il castello risentì delle esigenze del suo nuovo padrone: gli ornamenti asburgici e le insegne imperiali vennero rimosse per far spazio a quelle sabaude, e gli arredi vennero resi più moderni e funzionali secondo il gusto del duca, che conferì praticità e senso estetico a ogni ambiente. Lo stile razionalista è evidente ancora oggi nell’ala sinistra del primo piano della residenza, dove erano posti appunto gli appartamenti privati del duca, che dotò il castello di diversi miglioramenti come i due ascensori, l’acqua corrente, il riscaldamento, le lampade al neon e la linea telefonica.

Come combattere l’alitosi

Molti hanno questo problema al punto che fanno fatica anche ad ammetterlo con se stessi, eppure oggi chi soffre di alitosi dovrebbe parlarne prima di tutto col proprio medico odontoiatra che sicuramente può dare una cura valida al problema e poi facendo qualche piccola cosuccia che, come vi suggeriamo tra breve, potrà risolvere almeno in parte il problema.

Che cos’è l’alitosi

È causa di un forte imbarazzo se non proprio di un disagio costante nelle relazioni con gli altri: l’alitosi è diventato da problema del medico dentista, a problema di natura psicosomatica dato che provoca non pochi imbarazzi a chi ne è purtroppo affetto. Ma in realtà, e per fortuna, si tratta di un disagio che, rispetto ad altri di più difficile e complicata risoluzione, può oggi essere facilmente e tranquillamente superato e vi diciamo noi come. Partiamo col dire cosa sia l’alitosi è prevalentemente un disturbo del cavo orale tanto che si contraddistingue per l’avere la bocca di un odore sgradevole, però alcune volte questo non implica che la persona che ne soffre non curi sufficientemente la propria igiene orale, ma dietro l’alitosi si possono nascondere altri motivi.

Per esempio, avete mai notato come anche il vostro alito possa essere pesante durante la giornata? Eppure dopo il pasto subito avete pulito denti e bocca come vi ha raccomandato il dentista, ma l’alito cattivo lo percepite ancora, come mai? Semplicemente perché una dei principali e più importanti motivi che dà origine all’alitosi dipende dalla presenza di problemi gastrici, di cui è possibile soffrire senza nemmeno immaginare che flatulenza gastriche possa coinvolgere anche la bocca.

Perché abbiamo l’alito cattivo

Cosa dà origine ai problemi gastrici? Quel che si mangia, naturalmente: per cui se condite i piatti con troppo aglio o troppa cipolla, se abbondate in bevande alcoliche cui fate seguire una bella pausa sigaretta, non dovreste stupirvi più di tanto se da una parte avete problemi all’intestino e dall’altra alla bocca. I due apparati sono collegati, quindi occhio a come vi muovete! I batteri all’interno della bocca non ci mettono niente a moltiplicarsi, anzi gli state facilitando il lavoro: la flora batterica si attacca a quei piccoli residui di cibo che restano in bocca dopo la masticazione e li decompone ed è così che si liberano gas a base di zolfo. In questo caso, è bene anche in ufficio avere come pulire i denti dopo aver mangiato perché di sicuro la prevenzione all’alitosi più efficace è quella con spazzolino e dentifricio, ma non sottovalutate anche l’importanza dell’uso del filo interdentale con cui è possibile scovare i residui più microscopici incastrati tra un dente e l’altro.

Certo se volete proprio essere perfezionisti dovreste finire con una bella dose di collutorio, di quelli efficaci in profondità, perché il collutorio aiuta a pulire anche la lingua e svolge un’importante azione antisettica, che aiuta a risolvere il problema alitosi. Altra storia se l’alitosi non è causata da una cattiva igiene orale: in questi casi, è sempre meglio rivolgersi prima al proprio odontoiatra di fiducia perché è l’unico in grado di capire se il problema dell’alito proviene dalla bocca o dallo stomaco.